Al di là dell’Apparenza:
La Fotografia dell’Invisibile

di Paul Shiva 12 marzo 2025

1 - Per una Semiotica dell’Invisibile


Se i segni, per definizione, ‘significano’ – e, per noi che subiamo il fascino della semiotica, ciò è fuor di dubbio, finanche dinanzi a qualsiasi asserzione negazionista (anzi in quelle situazioni è ancor più stuzzicante andar a scoprire cosa c’è “dietro”!) - cerchiamo di seguirne le tracce ed intuirne i rimandi. E siccome questo demotape non si intitola “Gelato al Cioccolato” (che anche in quel caso scopriremmo significati reconditi) seguiremo le tracce e gli indizi che ci sono stati forniti e che abbiamo rintracciato.

Innanzitutto abbiamo una produzione realizzata da una etichetta che sceglie come nome ("Perfido Incanto") quello di un lungometraggio perduto del 1917; un film muto legato al movimento futurista (clicca QUI per info).

L’attrice protagonista del film in questione, di nazionalità russa, si chiama Thais Galitzky; il suo nome che viene mutuato come alias da Francesco Niglio, creatore dell’etichetta sopraccitata (in realtà, pare, aggiungendo una ulteriore “s” finale). Il regista è lo stesso Anton Giulio Bragaglia che, assieme ai suoi fratelli, intraprende e sviluppa una ricerca sulla fotodinamica (d’estrazione futurista, anch’essa) con il dichiarato intento di “vedere ciò che superficialmente non si vede; vogliamo ricordare la più viva sensazione dell'espressione profonda di una realtà indicibile e inafferrabile”. Quindi, giustappunto, “fotografare l’invisibile: ed alla fine non siamo di nuovo ai concetti ed alle problematiche basilari della semiotica? Può la semiotica del visibile precludere una semiotica dell’invisibile se non mettendo a rischio di inficio le proprie inferenze?

elon musk nazi

L’opera risulta essere stata prodotta (perlomeno asseritamente) in collaborazione con l’Alcova Elettrica di Lecco (CO) che - da quanto riportato in una pagina della fanzine Plastica nr. 6 (clicca QUI) - è indicata come autrice degli “interventi grafici”; ed a questo punto, è difficile che si tratti di una pura casualità che “L’Alcova Elettrica” sia il titolo di un romanzo storico (di Sebastiano Vassalli) pubblicato nel 1985 - anno antecedente alla pubblicazione di questo demotape - che narra lo scandalo provocato, nel 1913, dal manifesto (futurista, guarda caso) “Elogio della Prostituzione” (clicca QUI) ed il susseguente processo per oltraggio al pudore subito da Lacerba, la rivista che lo pubblicò.

Si tratta evidentemente di una serie assolutamente intrecciata di richiami ad una di quelle avanguardie che sovvertirono la cultura occidentale all’inizio del secolo scorso e che, molto spesso, per una sorta di “affinità elettive”, sono state prese a riferimento (più o meno esplicitamente) dalle varie diramazioni del movimento subculturale scaturito dalla rivoluzione punk a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80. E questo (per quanto ne sappiamo relativamente agli autori, senza alcun dubbio, altresì, per chi scrive) al di fuori di qualsiasi ulteriore affinità che non siano quelle strettamente ed artisticamente “rivoluzionarie”. Al di fuori, pertanto, di quelle che oggigiorno sono (purtroppo) celebrazioni meramente politiche e di natura biecamente propagandistica.

Una produzione, infine, che (come scrive, nel 1987, lo stesso Andrea Lopez in uno dei suoi interventi (presumibilmente) sul quotidiano “Latina Oggi” dal titolo “Il Rock e la Palude”) “attraverso un documento sonoro ed un libretto, esplora i campi della comunicazione televisiva vista come persuasione di massa”.

Quindi si può dedurre che, in questo caso, il tentativo dichiarato fin dal titolo sia stato quello di “vedere ciò che superficialmente non si vede" ovvero quella “videodinamica” del media televisione che sfugge all’occhio del telespettatore - in quanto per definizione reso inerte dall’ipnosi indotta dallo schermo.

La Fotografia dell'Invisibile (1986)

"La Fotografia dell'Invisibile" (1986) [Copertina Demotape]

2 - Semiotica dell’Udibile

Settimana Enigmatica: Prendendo sempre in prestito le parole di Andrea, persona evidentemente “informata sui fatti”: “5 brani di musica elettroacustica, ipnotici e di sapore rileyano. Settimana Enigmatica è un gruppo (se lo è) fantasma, nel quale dovrebbe militare un ex-Mono [ovviamente l'ex Mono era lui: si erano sciolti proprio qualche mese prima ed era uscito il demotape compilation celebrativo “Imperi” clicca QUI per ascoltare n.d.r.] e che fino ad oggi ha pubblicato, sulla compilazione di gruppi  (con Mono, Negative Existence e Jars n.d.r.) di LatinaOfficial Invaders” (1985) (clicca QUI per ascoltare), una versione scheletrica di Arnold Laynedei Pink Floyd (50 secondi di ironia psichedelica industriale) oltre ai cinque brani sulla già citata Fotografia dell’Invisibile”. Mai visti dal vivo Settimana Enigmatica utilizza strumenti convenzionali piuttosto scadenti (farfisa organ, chitarra elettrica, basso, batteria) e nastri, dischi a velocità rettificata etc per generare un suono molto caldo, in definitiva, e piuttosto indefinibile”.

→ GM: Sempre Andrea, dai medesimi, suddetti, suoi interventi: “Ex cantante dei Neon [che si sciolsero nel 1982 (clicca QUI per leggere)] ora “in proprio” con le sue incisioni nel campo dello scratch e della rap-music, contaminate dall’inserimento di stralci sonori tratti, spesso, da trasmissioni televisive per casalinghe alienate. Frasi che si ripetono all’infinito (e che acquistano perciò un sapore inquietante nella loro banalità) la voce spesso in ombra, batteria elettronica e giradischi usato come strumento: questi gli ingredienti delle alchimie sonore di G.M., spesso simbolo di una quotidianità che opprime, soffoca e terrorizza, Due nastri in distribuzione ufficiale: Remixes” (1985) (clicca QUI per leggere) e “GM” (1986): più spontaneo il primo, più rigoroso il secondo. Un brano lunghissimo di G.M. appare sul nastro “La Fotografia dell’Invisibile””

La Fotografia dell'Invisibile [Fanzine Plastica #6]

fanzine Plastica nr. 6 (Autunno/Inverno 1986/1987)


Andrea, in relazione ai suoi Settimana Enigmatica, cita esplicitamente Terry Riley. Io aggiungerei alcun altri influssi, riferiti sia a lui che a GM, che probabilmente (seppur magari inconsciamente per gli stessi autori) risultano per me essere ancor più evidenti: in Italia Magazzini Criminali di “Crollo Nervoso” (1980) e gli Stupid Set di “Basset” e “Psycodisco. All’estero: Throbbing Gristle, il cui stile collagistico deve molto alla tecnica del cut-up di scrittori quali William S. Burroughs e Brion Gysin; l’inarrivabile “Time To Tell” (1983) di Cosey Fanni Tutti; i subverter sonori per antonomasia Negativland ed i Residents, ovviamente.

Insomma, tutto quel crogiolo di visioni riconducibili al concetto (indefinito per conditio sine qua non, oserei dire) di culture jamming di derivazione dadaista (e rieccoci ai suddetti collegamenti con le avanguardie di inizio secolo scorso), che nel campo delle creazioni musicali ha preso il nome di plunderphonics.

Già l’Internazionale Situazionista (1957-1972) , che ebbe in Guy Debord uno degli esponenti di punta, aveva teorizzato (e praticato) la tattica del détournement, utilizzata anche per organizzare scherzi politici sovversivi, i cosiddetti scherzi situazionisti; tattica che era stata, poi, ripresa dal movimento punk alla fine degli anni '70 ed aveva, infine, ispirato proprio il movimento del culture jamming nato a metà degli anni '80. Il termine fu coniato da Don Joyce dei Negativland nel loro album del 1985 “JamCon ‘84” (la seconda traccia ha infatti come titolo "Crosley Bendix Reviews JamArt and Cultural Jamming").

Negativland

Negativland "JamCon '84" [interno copertina]

3 - La comparsizzazione dello spettatore

Quindi, mentre questo demotape nel 1986, come scrive Andrea, “esplora i campi della comunicazione televisiva vista come persuasione di massa”, oggi, una volta questa definitivamente esplorata e 'svelata' (e finanche totalmente sottoposta a pubblico ludibrio per puri fini di guerra di potere fra nuovi e vecchi media) abbiamo ben altri “campi” da sottoporre ad ancora più approfondita “esplorazione” considerato che la coscienza delle nuove forme che ha assunto la “persuasione di massa” non sembra ancora né profonda né tantomeno lucida. Ciò si verifica sia per l’accecante illusione di base (quell'"internet siamo noi!" che abbiamo sentito strombazzare in tutte le salse) che ha forgiato la nascita di questi nuovi media (come mai, in effetti, era accaduto in passato) che per la loro assoluta pervasività che nulla ha che vedere con i vecchi media (finanche quello televisivo).

Oggi che siamo divenuti tutti - e completamente - parte integrante della debordiana Società dello Spettacolo, non più semplici spettatori - che al massimo erano interpellati come claque – bensì siamo tutti stati scritturati come comparse (mi vengono in mente le immagini di quelle enormi masse presenti nei kolossal degli anni 10 del secolo scorso) ma con in più l’(esiziale) illusione di rivestire, altresì, ruoli da protagonisti, ci accorgiamo sempre più quanto il sociologo Marshall McLuhan fosse riuscito ad inferire i più profondi e reali meccanismi mediatici (la loro genetica strutturale, la definirei).

Si, non solo il “medium è (sempre stato n.d.r.) il messaggio” ma oggi, con nuovi media governati da algoritmi, ancor di più! Sono proprio queste serie di regole matematiche che “informano” (nel doppio, contestuale, significato di “portare a conoscenza” e, letteralmente, “plasmare”) i fruitori.

Ed è facilmente immaginabile come il margine di esercizio critico da parte di questi ultimi subisca così una ulteriore, drastica, riduzione. E’ (dovrebbe essere) risaputo ormai che gli algoritmi che gestiscono i social media sono scritti (programmati) – e ciò essenzialmente e semplicemente per motivi di marketing - al fine di proporci contenuti in linea con le nostre preferenze, creando quelle che vengono definite “camere di risonanza”, ovvero delle vere e propri “bolle”, delle “comfort zone”, nelle quali veniamo esposti a opinioni ed informazioni (anche pubblicitarie tout court) che confermano proprio quelle che sono le nostre preferenze ed idee. E contestualmente – sempre per i medesimi motivi di strategia aziendale - viene ad essere amplificata/accentuata la polarizzazione: gli algoritmi sono scritti per agevolare i contenuti più divisivi semplicemente perchè questi sono più in grado di attirare l’attenzione dell’utente e, pertanto, generare maggior traffico. Ed ecco probabilmente spiegata la sempre più netta spaccatura dell'opinione pubblica (provo vergogna a chiamarla ancora così, in realtà) che diventa facilmente incomunicabilità e contrapposizione (con tutti i rischi sociali connessi).  

Ecco la dimostrazione plastica di come un media è in grado di essere esso stesso il messaggio. E tralasciamo, per non appesantire oltre modo la riflessione, poi tutto l’aspetto geopolitico, complementare e funzionale proprio alla sopraccitata persuasione finalizzata al controllo delle masse. Qualche accenno come spunti per ampliare il discorso:  come funziona l’algoritmo sui social (dal docufilm "The Social Dilemma" - 2020) → QUI, "Quanto sono potenti i Big Tech?" (2021) di Dario Fabbri" → QUI, presentazione di "Geopolitica umana. Capire il mondo dalle civiltà antiche alle potenze odierne" (2024) di Dario Fabbri → QUI e "The Great Hack - Privacy Violata" (documentario, 2019) → QUI.

Perfido Incanto 1917

"Perfido Incanto" (1917)
[una scena del film]

4 - Lo scemo globale del villaggio (globale)

C’è pertanto da guardare (ed ascoltare in questo caso) con nostalgica simpatia - e finanche rimpianto! - le “trasmissioni televisive per casalinghe alienate” - anche se, alla luce dei fatti, sono state del tutto propedeutiche (quindi non innocenti, eh!) - poichè sicuramente erano – nel loro frangente - molto meno ‘social/mente pericolose’ rispetto alle trasmissioni di post-verità spacciate senza soluzione di continuità dai social network installati praticamente nei nostri corpi come protesi.

La digitalizzazione della comunicazione ci ha regalato quella simultaneità che ci ha inevitabilmente condotto a quella “globalizzazione” della comunicazione, a quel concetto di “villaggio globale” preconizzato da McLuhan in tempi davvero ancora non sospetti (erano gli anni 60): le persone di tutto il mondo sono infatti oggi davvero connesse istantaneamente attraverso i nuovi media (che il sociologo canadese, molto probabilmente, avrebbe incluso tra quelli da lui definiti “freddi”). E con la nascita del villaggio globale - era altrettanto inevitabile, direi - abbiamo assistito anche a quella dello “scemo globale” del “villaggio globale”: ogni villaggio ha il suo scemo e se globalizzi il villaggio è inevitabile globalizzare anche lo scemo. Elementare Watson: clicca QUI.

In definitiva, se volgiamo lo sguardo indietro, appare evidente come si sia trattato semplicemente di fasi di sviluppo tecnologiche della citata “persuasione di massa” che ovviamente si fonda sul controllo e l’utilizzo dei media: difatti, oggi, fa una gran tenerezza ripensarsi davanti ad una televisione, magari senza telecomando con solo due canali  in bianco e nero (RAI1 e RAI 2 così fu fino al 1980...). Tenerezza accompagnata anche consapevolezza che però - alla fine - riuscivamo senza eccessiva difficoltà a trovare il tasto off, spegnere quel media, lasciarlo a casa e vivere in un mondo più “reale” - ancora molto poco fictionale rispetto a quello in cui siamo immersi oggi - e quindi anche più spazialmente idoneo all’esercizio critico. Esercizio oggi quasi impossibile: e si tratta chiaramente di un eufemismo.

Il predominio della nuova, frenetica, oralità dei nuovi media ha ucciso le nostre capacità analitiche perché queste richiedono inevitabilmente tempo; tempo che non ci è più concesso dall’overload informativo. Ed in più, sulla maggiore efficacia dell’oralità rispetto al “media scrittura” ai fini dell’apprendimento non credo qualcuno possa aver dubbi; basti pensare come spesso a scopo educativo, nelle scuole primarie, vengano utilizzati dei motivetti orecchiabili come escamotage per fare apprendere concetti complessi a persone con capacità mentali in fase di sviluppo come i bambini. Se poi, dopo aver spazzato qualsiasi suddetto dubbio, andassimo a rileggere uno degli undici principi enunciati dalla mente della propaganda nazista ovvero il quinto quello detto "della volgarizzazione": “Qualsiasi propaganda deve essere popolare e adattare il suo livello al meno intelligente degli individui a cui è diretta. Più grande è la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale richiesto. La capacità recettiva delle masse è limitata, e la loro comprensione è scarsa. Inoltre, la massa dimentica molto facilmente(Joseph Goebbels) [clicca QUI per leggerli] e facessimo mente locale su quante volte lo abbiamo sentito ripetere (nella storia, anche recente) da capipopolo e/o loro spin doctors, non dovrebbe sfuggirci affatto la micidiale potenza di fuoco propria dei nuovi media elettronici.

Oggi 2+2 fa tranquillamente 5.

Senza che nemmeno più si apra il minimo dibattito davvero "pubblico" (quindi non solo tra i rimanenti non asserviti intellettuali) al riguardo.     

thais galitzky perfido incanto 1917

Thais Galitzky in "Perfido Incanto" (1917)

5 - Détournement o disconnessione: questo è il problema

Ecco quindi che la tanto sbandierata interattività dei nuovi media (quelli catalogati come “freddi” da McLuhan, che involontariamente, forse, in questo caso avrebbe pienamente azzeccato il tag: cosa c'è di più "freddo" di un algoritmo?) si rivela essere un’"insegna luminosa che attira gli allocchi" (direbbe il cantante) zoppa, illusoria, fittizia proprio perché, in realtà, gestita matematicamente da codici di programmazione, gli algoritmi, che in modalità sempre più deterministica condizionano le nostre re-azioni (di questo parlerei più che di inter-azioni che presuppongono la parità tra due agenti). Dalla passività conclamata dinanzi al media televisione siamo passati alla passività dissimulata dinanzi un social media.

I mass media non sono quindi mai “trasparenti”, neutrali, non possono esserlo innanzitutto perché economicamente dipendono sempre da un editore/produttore nè per la loro medesima struttura/vocazione che, come abbiamo visto, produce essa stessa un’influenza (sono il messaggio stesso) sui recettori del messaggio (quindi ed ovviamente spesso questa “struttura” è plasmata dall’editore/produttore medesimo).

Quali possibilità ci rimangono? Il concetto di détournement può essere sempre una forma di (perlomeno) difesa, una sorta di esercizio propriocettivo, per le nostre capacità analitiche e critiche, magari rielaborato sotto nuove forme: realizzazione di media tattici come teorizzato da David Garcia e Geert Lovink, le “T.A.Z.” di Hakim Bay, lo shitpostering  [clicca QUI per leggere  od anche QUI], ma se ne riparlerà molto più approfonditamente più avanti su Capit Mundi?

Oltre a questo ci rimane solo la disconnessione perlomeno dai social network, il ritorno ad una sorta di Web 1.0: l’epoca felice del World Wide Web. Come un po’ intende essere per l’appunto Capit Mundi? nel quale non è stato intenzionalmente attivato nemmeno un modulo commenti. Sono costretto a citarmi al fine esclusivo di  dare la dovuta profondità temporale  a questi miei pensieri, perchè parlare oggi è sicuramente fin troppo facile: correva l’anno 2010 (eravamo agli albori dell'era dei social network) quando nel mio discorso di scioglimento del Popolo della Schiavitù (clicca QUI per ascoltare) avevo già espresso queste idee sulla perniciosità connaturata al Web 2.0 ed avevo già indicato le citate  poche alternative salvifiche a nostra disposizione. Dopo il Congresso del Popolo della Schiavitù, difatti, mi detti - per più di dieci anni - alla “macchia mediatica”, alla “disconnessione”: non bisognava essere certo Nostradamus od aspiranti Lacoonte per capire che il Web 2.0 ci avrebbe condotto esattamente dove siamo adesso.

Ad Elon Musk.

Ed accorgersene solo oggi è una concausa del disastro perché abbiamo dato tutti il nostro contributo, piccolo o grande, volenti o nolenti.

Parafrasando appena appena il grande poeta: “Nessuno si può considerare assolto siamo lo stesso coinvolti”.

Elon Musk

Chi non conosce i film condanna gli altri a riguardarseli

6 - Perfidi Incanti Mediatici

Quello al quale stiamo assistendo (anzi partecipiamo - questa volta - come comparse!) è, in conclusione, solo un ennesimo capitolo della guerra endogena nel capitalismo dei media: il nuovo media che arriva e che viene sempre presentato come quello che ti donerà (d'incanto, perfidamente…) maggiore e più “vera” informazione pertanto conseguente maggiore consapevolezza.

L'abbaglio di internet (la cui presunta libertà, è stata spacciata da subito come tale da pusher abilissimi nel marketing) come una sorta di "la coop sei tu" è stato davvero poi accecante, molto più deleterio di quanto furono capaci giornali, radio, cinema e televisione.

"La cinematografia è l'arma più forte" era uno slogan di Benito Mussolini.

Niente di nuovo sotto il (sempre più nero , purtroppo) sole, insomma.

Mi sono reso conto solo ora di come un nastro analogico del 1986 sia stato capace di ingenerarmi una riflessione talmente ampia sulle nostre capacità/possibilità di fotografare l’invisibile” dinamica dei media (la loro struttura, solo in apparenza - surrettiziamente - “trasparente”) sia di allora che di quelli di oggi.

E di tentare di dare questo minuscolo contributo teso a smascherarne le dinamiche più recondite.

Grazie quindi ancor di più a Francesco Niglio ed Andrea Lopez.

Mussolini la Cinematografia è l'arma più forte

---

Clicca sui titoli per ascoltare:

Enigmatica Settimana + G MLa Fotografia dell’Invisibile” (1986)

Enigmatica Settimana  (aka Andrea Lopez synth, noise)

1) Altera Voces 0:00

2) Descrivi l’Orbita 6:43

3) Verticale 11:14

4) Spin 15:16

5) Falsopiano 19:27

G M (aka Giorgio Manunza)

6) M’importa Sega 21:47

Una co-produzione:

INESISTENT PRODUZIONI INS 014 + PERFIDO INCANTO PRODX. A.A.2