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ORDINE ALFABETICO.
Questa è una mappatura della Rete delle Fanzine italiane originate dalla subcultura punk/nuovo rock negli anni 80.
Nell’Era del Telefono Fisso e del Francobollo (del Cinghiale Bianco?), ogni fanzine era un “nodo” di una rete analogica, aveva un indirizzo fisico (via, numero civico, CAP e città) che fungeva, di fatto, come funziona oggi un indirizzo IP ed anche se usava protocolli basici ed essenziali (gettoni e francobolli) nulla - davvero nulla secondo me - aveva da invidiare all’attuale world wide web proprio perchè, comunque, non era contraddistinta dall’immaterialità, neanche di base: questi collage di immagini e testi scritti a mano e/o battuti a macchina, ciclostilati o fotocopiati, si concretizzavano in oggetti creati manualmente, quindi quasi sempre del tutto artigianali, che rendevano stupefacentemente possibile una interconnessione finanche capillare con conseguente interscambio creativo tra le persone e tra le varie scene musicali/artistiche da queste spontaneamente costituite.
E la materialità, comunque, è ineludibile, imprescindibile (purtroppo da un lato, per fortuna dall’altro) per noi che siamo corpo, oltre che mente. Sulla materia, pertanto, per forza di cose, si basa qualsivoglia umano (troppo, direbbe il filosofo) tentativo di astrazione. Quindi ineludibile ed imprescindibile come modalità di conoscenza del mondo: ed oggi ben sappiamo, infatti, quali siano i danni che la smaterializzazione dell’esperienza conoscitiva ha comportato e sta comportando. A qualsiasi livello. Ma se ne parlerà meglio più avanti qui su Capit Mundi?
Oltre ciò, un’altra differenza (anche questa, ritengo, a tutto vantaggio della FanziNet) è che, comunque, trattandosi di modalità di interconnessione ‘analogicissime’ pertanto lentissime (ricordiamoci che una lettera impiegava giorni ad arrivare e la risposta altrettanti e quanto costava una telefonata extraurbana per cui la si effettuava molto di rado! dovevamo anche girare zavorrati di queste medaglie di alpacca o bronzo...) ciò costituiva un incentivo (quel "bisogna bi-sognare" già citato e per me una verità incontrovertibile) a scendere fisicamente in strada per incontrarsi e per comunicare, ad andare sempre fisicamente ad eventi che altrimenti non si aveva certamente altre modalità (come accade altresì oggi) di fruire. Si tratta, in definitiva, di quel concetto di "umanità" che in gran parte è già andato perso e che siamo destinati a perdere del tutto in un futuro oramai non troppo lontano.
Chiunque volesse fornire indicazioni, informazioni, notizie, documenti, suggerimenti e correzioni riguardo questa mappatura è benvenuto. Nel caso scrivete alla mail di Capit Mundi? cliccando qui.
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Grazie a Daniele Briganti "Le Fanzine", Enri1968" Sull'Amaca" e G. Longega "Italia Und New Wave" per il notevole lavoro che hanno già svolto e che costituisce fortunatamente il punto di partenza di questa mappatura.
Un grazie anche a R1 di SONICrEDUCER per la collaborazione che ha inteso spontaneamente offrire nell'attività di perlustrazione dei meandri più oscuri del DIY degli anni 80 in Italia.
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1 - Per una Semiotica dell’Invisibile
Se i segni, per definizione, ‘significano’ – e, per noi che subiamo il fascino della semiotica, ciò è fuor di dubbio, finanche dinanzi a qualsiasi asserzione negazionista (anzi in quelle situazioni è ancor più stuzzicante andar a scoprire cosa c’è “dietro”!) - cerchiamo di seguirne le tracce ed intuirne i rimandi. E siccome questo demotape non si intitola “Gelato al Cioccolato” (che anche in quel caso scopriremmo significati reconditi) seguiremo le tracce e gli indizi che ci sono stati forniti e che abbiamo rintracciato.
Innanzitutto abbiamo una produzione realizzata da una etichetta che sceglie come nome ("Perfido Incanto") quello di un lungometraggio perduto del 1917; un film muto legato al movimento futurista (clicca QUI per info).
L’attrice protagonista del film in questione, di nazionalità russa, si chiama Thais Galitzky; il suo nome che viene mutuato come alias da Francesco Niglio, creatore dell’etichetta sopraccitata (in realtà, pare, aggiungendo una ulteriore “s” finale). Il regista è lo stesso Anton Giulio Bragaglia che, assieme ai suoi fratelli, intraprende e sviluppa una ricerca sulla fotodinamica (d’estrazione futurista, anch’essa) con il dichiarato intento di “vedere ciò che superficialmente non si vede; vogliamo ricordare la più viva sensazione dell'espressione profonda di una realtà indicibile e inafferrabile”. Quindi, giustappunto, “fotografare l’invisibile”: ed alla fine non siamo di nuovo ai concetti ed alle problematiche basilari della semiotica? Può la semiotica del visibile precludere una semiotica dell’invisibile se non mettendo a rischio di inficio le proprie inferenze?
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Paolo Proietti - chitarrista dei mitici Move (clicca QUI per info)- ha scritto per noi questo vero e proprio diario del loro viaggio e della (ineluttabilmente chilometrica) strada da loro percorsa tra il 1985 e il 1990.
Lo pubblichiamo davvero con estremo piacere.
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"Eravamo giovani fighi e un pò maledetti ma anche working class, parlarne adesso sembro quei befani dei dik dik o che ne so chi"
Il nome fu proposto da Emilio il batterista, movimento movemose damose 'na mossa ma anche un riferimento all'organizzazione politica radicale statunitense malamente repressa e annientata. Emilio il batterista, Valentina la bassista e la voce - una musicista a tutto tondo capace di strimpellare qualunque strumento le capitasse a tiro dopo pochi minuti e una evidente sensibilità musicale, superiore a tutti noi – Marcello la voce le tastiere la chitarra le percussioni - l'eclettico scrittore poeta scultore maitre a penser – provenivano da un' esperienza musicale con i Rats Shake, collettivo romano punk new wave di qualche anno prima, Paolo il chitarrista da una punk band adolescenziale; l'aggregante di entrambi le situazioni erano i Vitasky Studios, la sala prove di Marcello. I Move furono il naturale sbocco degli Esterbar's, quando Emilio Marcello e Paolo furono abbandonati dal bassista a quattro giorni da un concerto e proposero a Valentina di aggregarsi: vuoto tamponato, differenti miscela e risultato. Insostituibili e quindi presenze determinanti e assidue, Luca il fonico ai cursori – che tuttora è fonico di teatro bravo lui – e Stefano Bob il fotografo e artista grafico alle fotocopie e trasferibili, guardato in cagnesco da tutti i fotocopiari di zona perchè, per il troppo nero nelle stampe, gli consumava tutto il toner – mentore musicale grafico e letterario di alcuni di noi. Era il 1985.
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Move: Emilio, Valentina, Paolo e Marcello
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Riceviamo e con piacere pubblichiamo questo racconto - già pubblicato (con il titolo “Il Dominio dell’Ombra”) sulla rivista letteraria Storie di Gianluca Bassi nr. 1 [?] Novembre 1988 - gentilmente concesso a Capit Mundi? da Sandro.
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Sulla moto in folle corsa verso San Casciano sto scoprendo il lato oscuro della proverbiale bellezza della campagna toscana; mentre mi tornano alla mente racconti inquietanti di "mostri" e di fatti di sangue, tutto mi appare come filtrato dalla stanchezza e dal velo nero della notte. Questo dovrò ricordarmi di raccontarlo, al mio ritorno a Napoli: questa accoglienza diffidente e vorticosa alla stazione di Santa Maria Novella. Altro che alberghetto al centro e cena col "boss" come mi avevano assicurato al telefono i dirigenti della mia etichetta discografica. Dopo due ore di attesa e di telefonale inutili, non mi e chiaro neanche come mi ritrovi su questa moto, stordito dal frastuono del motore sotto sforzo e del mio stomaco che rumoreggia. Di tanto in tanto cerco di comunicare col giovane dark dai lunghi riccioli neri carico di argenti pesantissimi a forma di croci e di serpenti che, dopo avermi squadrato a lungo prima di convincersi che fossi proprio io il cantante del gruppo rock, sia pure "mediterraneo”, che era stato inviato ad accogliere, mi sta trasportando alla casa in campagna di Pluto, carismatico leader di un gruppo punk trasgressivo che incide per la mia stessa etichetta.
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Fru Aut: partiamo dal nome che (almeno in me) ha suscitato immediata e violenta curiosità. La spiegazione ce la dà Uber medesimo rimandandomi al link della descrizione della loro Pagina Facebook (clicca QUI): in breve, alla prima versione della band (1979/1982) fu dato il nome di Io che poi fu cambiato in AUT AUT (secondo periodo: 1983/1985) ed infine (nella terza "fase" dal 1985-1995) - anche per evitare problematiche relative a facili omonimie - “si decise di fondere la determinata durezza di AUT AUT con l’idea di stato confusionale generato da un termine come FRU FRU”.
Paul Shiva: Ciao Uber, ci racconti chi erano i Fru Aut?
Uber Cavalli: All'epoca eravamo un gruppo molto strumentale di ispirazione decisamente Neu! e rock sperimentale tedesco (il seminale krautrock n.d.r.) mischiato alla new wave. Spesso ci trovavamo sul palco con i Qfwfq (clicca QUI per info) e così nacque una amicizia con Vinicio, il loro cantante, che accettò di collaborare alla realizzazione del nostro primo demotape ufficiale. A quei tempi gli studi di registrazione costavano molto ma, fortunatamente, lui ne conosceva uno buono ed economico a Venezia! Partimmo quindi portando gli strumenti e caricandoli sui traghetti con i turisti che ci guardavano esterrefatti sia per la situazione, diciamo, inconsueta ma anche perché Vinicio è sempre stato un vero personaggio, non era possibile non notarlo. Ricordo che il fonico dello Studio, Ermanno, rimase sconvolto dal suono che producevamo, per la sua assoluta diversità rispetto a quello che era abituato a registrare di solito. Mangiavamo in una pizzeria consigliataci da lui ed il menu era rigidissimo: pizza, acqua e caffè, guai a sgarrare altrimenti costava troppo! Dovendo fare i pendolari fummo assolutamente velocissimi a registrare, lo facemmo praticamente dal vivo per non spendere troppo. Fu un'esperienza divertente e molto gratificante. Quel nostro esordio uscì nel 1985 e lo intitolammo semplicemente “Fru Aut”. Riuscimmo anche a farlo girare abbastanza e, devo dire, ebbe assolutamente un buon riscontro, anche di critica. Poi, subito dopo la pubblicazione del demo, Vinicio partì per Londra ed il bassista Gino (Morello n.d.r.), a cui avevo insegnato a suonare ci lasciò per suonare con un'altra band: i Vendicators. Noi comunque continuammo ad andare avanti duri e puri: arrivò la Paola (Zisa n.d.r.) alla voce e al sax e poi Icio (Maurizio Prendina) al basso.
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Vittorio Nistri: E per un attimo… siamo di nuovo nel 1986, e c’è ancora Andrea. (clicca QUI, QUI e QUI per lo scambio epistolare tra Vittorio e Andrea Lopez)
Paul Shiva: Ciao Vittorio, come ti ho scritto su Messenger grazie per l’emozione che mi hai regalato con questi documenti che mi hanno dato brividi, in primis dal punto di vista di “ricercatore” (un po’ Dylan un po’ [sicuramente più] Dog), documenti importanti anche perché sono davvero affascinato oggi dalla capacità di fare rete ante-internet che avevamo all’epoca. E si trattava di una rete tessuta molto più di umanità rispetto a quella attuale, molto più “concreta” e libera in definitiva (penso che il bisogno aguzzi sempre l’ingegno, che "bisogna bi-sognare"). Ma mi sono emozionato anche per i passaggi in cui Andrea mi cita associandomi a P.I.L. e Pere Ubu dei quali, chiaramente, non sono nè una falange dei primi nè un’unghia dei secondi ma lui - a parte una spontanea e quasi scontata tifoseria per una scena che comunque gli ruotava di fatto attorno - fin dal mio primo concerto ebbe sempre parole di ammirazione per le mie “nefandezze”. Uno dei miei più grandi rimpianti e non aver fatto più cose con lui e che non sia più tra noi perchè, anche oggi, sono certo avremmo potuto creare qualcosa assieme. Aveva una energia e una creatività contagiosa. Vabbè… sono emozioni che mi hai regalato con questo tuo passaggio con la macchina del tempo. Grazie! Rimettendomi i panni del “ricercatore” in base a questa lettura, se vorrai rispondere (quando avrai tempo) ad alcune domande per il post che farò su “Partitura Incompiuta", te le scrivo qui di seguito (se ti facesse piacere potrebbe assumere anche la forma di piccola intervista - che allora magari poi “aggiustiamo” assieme - oppure come info che aggiungerei al discorso: mi dirai).
Vittorio Nistri: Ciao Paolo, qua di seguito troverai le mie risposte. Taglia/sfoltisci/butta via quel che vuoi. Prendi dalle mie risposte liberamente ciò che riterrai opportuno per i tuoi post. Per una eventuale intervista, preferisco rimandare a quando mai riuscirò a trovare il tempo per terminare il restauro dei vecchi nastri, e ristampare su CD le mie principali produzioni degli 80’s. Mi sono pervenute, in questi ultimi anni, proposte di ristampa da due diverse etichette discografiche. Una voleva ristampare su CD l’opera omnia degli Overload, l’altra l’album-su-cassetta “Nistri-Fiori Carones”. In entrambi i casi, le etichette si erano offerte di pagare loro tutti i costi di masterizzazione, stampa, SIAE, ecc. Erano due offerte ottime, ma ad entrambe ho risposto che… non mi va di riversare su CD vecchie cassette smagnetizzate. Avrei proceduto alle ristampe solo dopo un restauro dei nastri originali 4 tracce. Dopo di che, ho restaurato alcuni brani di Overload e Nistri-Fiori Carones, e devo dire che sono venuti benissimo. Ma poi mi sono fermato. Non ho mai terminato il restauro del resto. Il problema è che, tra lavoro, impegni familiari e cazzi e mazzi vari (anche di salute), non ho la possibilità di dedicare alla musica tutto il tempo che vorrei. E se il tempo non basta per tutto… mi appassiona di più dedicarlo a nuove creazioni (…io continuo a fare nuova musica, nuovi dischi, nuovi concerti) che non al restauro di quelle vecchie. Ma magari prima o poi troverò il tempo di finire quei benedetti restauri, e allora sarà il momento per le eventuali interviste. Vado con le risposte!
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Settando i controlli “to the heart of the sOn” son riuscito a scovare “in un anfratto del pianeta” non, in realtà (? sarebbe sempre, poi, interessante capire quale), lontano da Capit Mundi?! il “Figlio dei Pink Floyd” (nato fortunatamente quando ancora la G.P.A. non era ancora reato universale: quindi universalmente libero, fuck!) nonché “giovanilistico musicista” nonché “Cantautore Psichedelico” nonché Dario Antonetti! Dopo esserci scambiati una rapida occhiata, abbiamo deciso, senza nemmeno accordarci (meglio! visto che per me questo è sempre stato una sorta di tabù…) di attaccare i cervelli all’ampli…Lo-Fi? Lo-Famo!
Ecco il risultato, ma prima che iniziate a leggere un doveroso DISCLAIMER: qui de-cantiamo (anche) rumori! Quindi, proseguendo, vi assumerete ogni responsabilità sia sensoriale che extra.
Paul Shiva: "Vegetable man how are you?” (*)
Dario Antonetti: “So I've changed my dear, and I find my knees”
[Dopo le presentazioni psychorituali proseguiamo cercando di “non confondere storie con le altrui memorie”, mica facile soprattutto quando sempre più neuroni imparano a far timbrare il cartellino solo ad uno di loro…]
Paul Shiva: “One Pill Make You Small”?
Dario Antonetti: Si, così davvero piccolo che mi ritrovo, di colpo, nel 1972 a 12 anni alla voce con I Cannibali (io, mio cugino Massimo alla chitarra giocattolo anni 9, il cugino di mio cugino Walter anni 9 al piano giocattolo) in una devastante esibizione proto-punk (quando Johnny Rotten andava ancora all’oratorio) davanti ad un esterrefatto, impreparato ma GIGANTESCO pubblico (...oh ma a quelli le pillole l’hanno davvero fatti grossi, eh!). Due brani e via: "Spacco Tutto" e "Per un Bicchier di Vino non So Cosa Darei” (n.d.r.: una versione italiana di “Feed your Head!”?)
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"Neokoncënnaja p'esa dlja mekkaniceskovo pianino"
1976 – Puščino (URSS) - Tenuta Rurale di Anna Petrovna Vojnizieva
Contestualmente all’esplosione del punk in quel di Londra, arrivava nelle sale dell’URSS “Partitura Incompiuta Per Pianola Meccanica” (che sarà distribuito in Italia, però, solo nel 1985) un film di Nikita Mikhalkov ambientato nella provincia della Russia imperiale di fine Ottocento (esattamente a Puščino, un centinaio di chilometri a sud di Mosca). In una tenuta nobiliare, sulle rive del fiume Oka, affluente del Volga, si riuniscono alcuni personaggi i cui destini vanno ad intrecciarsi in una trama fatta di irrisolte (perché fondamentalmente irrisolvibili) problematiche interiori e quelle esteriori, conseguenti ai mutamenti storico-sociali in corso. Le relazioni che nascono nel corso della giornata generano nuovi interrogativi finanche sui loro esiti.
1986 - Latina-Pisa-Monza - Audiocassetta della Inesistent Produzioni
Contestualmente ad un’altra esplosione di natura del tutto diversa (quella della centrale nucleare di Chernobyl) la Inesistent Produzioni dava alle stampe questa raccolta (clicca QUI per ascoltare) riunendo alcuni dei personaggi più significativi della scena underground new wave (forse sarebbe più consono utilizzare il concetto, maggiormente onnicomprensivo, di ‘post punk’) della penisola in quel lasso temporale. Come indicato nella copertina, il demotape è ‘ambientato’ a: Latina-Pisa-Monza – ovvero anch’esso nella provincia di un Impero (più esattamente in alcune sottoprovince della Provincia) – e va a disegnare un affresco probabilmente (se a posteriori risulta sin troppo facile asserirlo, chiedo venia) malinconico quasi quanto quello sceneggiato da Nikita Mikhalkov. Mi piace immaginare che, anche per questo motivo, magari inconsciamente, ne sia stato mutuato il titolo.
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Scena del Film
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Nel mese di marzo del 1985 Paul Shiva, dopo aver, per più di tre anni, impressionato sulla propria viva ‘pellicola’ diversi scatti – molti di ira [punk?] ma, a ben vedere/ascoltare, non esclusivamente – uscì una volta per tutte dalla dark room delle “Illusioni Morte” (come si è raccontato QUI) ove si era rinchiuso per, finalmente, sviluppare quel negativo in un nuovo ritrarsi. Con l’intento di scongiurare il rischio dell’elusione.
Uscì con un, pertanto, ineludibile nuovo ritratto tirato ad hoc per “riappropriarsi di quella dimensione (…) sostanzialmente “laica” e metodicamente critica” come aveva dichiarato nel Testamento Musicale di un Gruppo Mai Esistito - Never Existed - NEX (1982-1985) che abbiamo già pubblicato QUI e che a seguito della cui pubblicazione e lettura, i No Existence furono de jure investiti di tutti gli oneri e gli onori spettanti quali eredi unici.
Nel sopraccitato Testamento dopo i principi, per così dire, “inesistenziali”, venivano enucleati quelli più strettamente - e pragmaticamente - metodologici, ovverosia quelli propriamente da applicarsi nel processo creativo: “la concezione della musica come espressione vitale pura, come PRODOTTO SPONTANEO (…) mirante (…) alla concretizzazione (…) della soggettività che si pone oltre se stessa”. Ed operativamente si additava quale “elemento qualificante del momento liberativo della musica (…) la REITERATEZZA” quale sola chance a nostra disposizione per “la disgregazione della dimensione temporale”: per opporci alla Dittatura del Tempo!
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[William Hogarth "The Bathos" (1762)]
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Gregorio Bardini come compositore nasce, per evidenti motivi anagrafici, dentro la Nuova Onda degli Anni 80 ma la sua si è ben presto rivelata una costante esplorazione dell'origine dei suoni, tra sacro e profano, paganesimo e monoteismi, con il focus sui loro risvolti mistici; una ricerca, in definitiva, sia verso quella "vibrazione" alla radice della materia (quindi dell'universo) che quella "tradizione primordiale" concettualizzata da uno dei suoi punti di riferimento intellettuali, il filosofo ed esoterista René Guénon. Abbiamo avuto il grande piacere di potergli rivolgere qualche domanda focalizzata (in questa occasione, sperando di averne altre per proseguire il racconto) sulla nascita e sulle fasi iniziali del suo percorso creativo e di contestuale ricerca filologico-musicale.
Paul Shiva: Ciao Gregorio, miriamo al cuore: cosa hanno rappresentato per te gli anni 80 e la subcultura punk?
Gregorio Bardini: Contrariamente a quel che molti sostengono, gli anni 80 sono stati un periodo di grandissima qualità musicale, periodo in cui erano attivi gruppi fantastici, altro che fine della musica! La subcultura punk è stata un’occasione per sperimentare, per certi versi una nuova avanguardia artistica nata nel seno di un genere “non colto”, il rock per l’appunto. Il punk per me è stato anche una palestra a livello politico-sociale, occasione di scambi ed amicizie, una terza via in cui incunearsi tra conformismo borghese ed edonismo discotecaro-drogaiolo, alternativa ai cascami sessantottini e fricchettoni.
Paul Shiva: Il demotape con 4 tracce intitolato "Il Viale Giallo della Vergogna” a firma tua e Alberto Fiori Carones (se non ho informazioni errate datato 1980!) oltre ad essere, con tutta probabilità, la prima produzione della mitica megamagomusic di Alberto Fiori Carones si colloca già in un ambito di superamento / riconversione dell’energia creativa del punk, un po’ quello che accadde ad altri artisti anche già in attività come ad esempio i T.A.C., di cui più avanti parleremo. Ci racconti come nacque questa vostra collaborazione?
Gregorio Bardini: Hai colto perfettamente nel segno, la temperie culturale era quella. Alberto non l’ho mai conosciuto di persona, si comunicava via lettera, nemmeno col telefono. Dato che avevamo dei gusti musicali molto simili decidemmo di collaborare insieme. Mi mandò alcune sue basi e abbozzi musicali che io rifinii in modo definitivo.
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"The danger of the vulgar surfer philosophy is that,
“Oh man, nothing is important; just kick back, wait for the wave, just hang out”.
That’s beautiful, and it’s a step forward, but in a sense it’s a dilettante situation.
The next step is to create the future, to take responsibility for it”
(Dr. Timothy Leary)
Italia, 1985.
L’anno iniziò con una eccezionale ondata di freddo (il 12 gennaio a Molinella, nel bolognese, si toccarono i -24°C e a Firenze i -23°C!) che provocò quella che - definita per questo la nevicata del secolo - paralizzò l’intero paese per tre giorni: a Milano si depositò un manto nevoso fino a circa 70 cm, a Varese 122 cm ma nevicò abbondantemente anche a Roma e Napoli. Proseguì con la legalizzazione delle (indubbiamente nuove) onde televisive Fininvest con il varo dei due “Decreti Berlusconi” che, oggi lo sappiamo, potremmo chiamare anche “Decreti Flaiano” perché in “Don't forget, 1967/72” (postumo, 1976) l’Ennio nazionale aveva profetizzato: “Fra 30 anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione”. Che anche Lacoonte gli avrebbe dato il cinque. Nel mentre a Mosca venne nominato segretario del PCUS Michail Gorbaciov. E sappiamo che significati ed implicazioni la nuova onda politica della “perestroika” e della “glasnost” avrebbe poi avuto: un’ondata sussultoria della storia che arrivò, pochi anni dopo, infine a far crollare quel Muro che aveva tenuto diviso il mondo in due. Un sintomo dell’imminente cambiamento di un’era della geopolitica ed il primo passo nella definizione di quella che stiamo vivendo oggi. Infine l’anno si chiuse, simbolicamente, il 20 novembre, con il lancio della prima versione di Windows da parte di Microsoft: ed oggi ben sappiamo cosa ciò implicò ai fini della costruzione del mondo digitale (e della conseguente ondata elettromagnetica di smaterializzazione) che oggi (dis)abitiamo.
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Plastica n°5 / Novembre 1985
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Riceviamo e con piacere pubblichiamo questo ricordo degli EX EX di Sabaudia ovvero Giorgio Calderan (basso, chitarra e tastiere) e Antonio D'Agata (tastiere e percussioni).
"A Sabaudia in quegl'anni non c’era nessuna scena. Tutto si svolgeva all’interno di un garage dove si suonava (Giorgio), si strimpellava (io) e dove si parlava dei nuovi dischi che erano usciti. Ci siamo conosciuti in modo fortuito. Avevo registrato una cassetta per un mio amico, Fausto, con alcune delle cose che sentivo in quel momento: Simple Minds, Human League, Soft Cell, Japan, Ultravox. Cose più fruibili, in verità, alternate però ogni tanto anche da Bauhaus e Killing Joke. La cassetta capitò in mano a Giorgio che chiese chi l’aveva fatta, da lì il conoscersi fu il passo successivo. La prima volta che scesi nel suo garage rimasi fulminato: un sintetizzatore, una batteria, un basso e anche una chitarra. Le apparecchiature erano accese, pigiai il dito sul do centrale del sintetizzatore, un Crumar Trilogy, e suggellai questo patto. Correva l’inizio degli anni 80."
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Paul Shiva: Abbiamo il piacere di fare una chiacchierata con Luciano Guerzoni che con il moniker di “PunkDark” dette il suo contributo come disegnatore e grafico a moltissime delle più importanti ed emblematiche fanzines degli anni ‘80, da “Nuova Fahrenheit” a “Komakino”, da “Urlo Wave” alla mitica “T.V.O.R.”. Ciao Luciano, innanzitutto puoi raccontarci come venisti in contatto con la subcultura punk/new wave? Hai un ricordo di un aneddoto o comunque di un momento in particolare in cui ti si aprì quel "mondo sotterraneo" dinanzi e divenisti “Punkdark”?
Luciano “PunkDark” Guerzoni: Ciao, ti ringrazio per darmi la possibilità di raccontare questo viaggio nei mitici anni 80! Tutto per me è iniziato guardando un servizio sui punkers di Londra trasmesso nel 1977 alla RAI durante una trasmissione che si chiamava" Odeon Tutto Quanto Fa Spettacolo”. Poi mio fratello, che in quel periodo si trovava a Londra per motivi di lavoro, ha iniziato a portarmi materialmente i dischi della nuova scena (come quelli degli Ultravox, dei Sex Pistols e degli Stranglers) che, ovviamente, per lui era molto più facile reperire rispetto a me qui in Italia (ricordiamoci che, all’epoca, qualora un vinile non veniva ristampato in versione “nazionale” bisognava che fosse letteralmente importato).
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